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Pensieri sparsi: minimalismo digitale, ovvero io non so usare il cellulare
Sto leggendo un libro, Minimalismo digitale di Cal Newport.
Come si può intuire è, a tratti, un j’accuse al mondo dei social media e a come stanno influendo sull’essere animale sociale dell’uomo; in particolare, c’è una parte dedicata al fatto che nel XXI secolo non esiste più il concetto di solitudine e di noia, perché siamo circondati dalla tecnologia che crea una sorta di sottofondo digitale, il quale non permette di restare soli con se stessi.
Mi ha colpito molto l’inciso riferito al fatto che questo sottofondo, non permettendo agli individui di restare soli, perciò di riflettere, non permette di farci rendere conto che stiamo vivendo una vita di merda in sostanza: su questo mi trovo d’accordissimo. I social sono davvero un ottimo modo per anestetizzare le persone e soprattutto di metterle una contro l’altra per ragioni di sopravvivenza sociale. Prendiamo, per esempio, la gente che pubblica storie Instagram (io per prima l’ho fatto) dove mostra quello che sta facendo: momento di ostentazione, di validazione sociale, in termini di dover far sapere agli altri che anche tu stai vivendo. E tutto questo per competere socialmente con gli altri, dimostrare di non essere rimasti indietro… ma di tutto quello che facciamo e schiaffiamo sui social, cosa ci rimane davvero?
Sul discorso noia non sono stata tanto d’accordo: io, mentre facevo doomscrolling, ne ho provata tanta. Ma forse la noia che ho provato prima era tale da spingermi a fare doomscrolling? Ho pensato un po’ a quando è stata l’ultima volta in cui ho provato davvero tanta noia da tagliarla col coltello e, boh, credo risalga ai tempi della prima media. Dopo penso di essermi sempre trovata con qualcosa a portata di mano che mi stordisse in qualche modo: ora il game boy, ora la tv con Paso Adelante (questo, in realtà, mi ha resa una persona particolarmente incline al trash), ora il cellulare con l’infinity card, il primo MP3 con le cuffiette sempre indosso, il primo smartphone a 18 anni, ecc… Mi sono bruciata il cervello negli ultimi 20 anni, in sostanza.
Realizzarlo, in effetti, mi mette un magone che probabilmente mi darà materiale per almeno una decina di sedute con la mia terapista.
Eppure, nel tempo, me ne sono resa conto parecchie volte e in qualche modo ho provato a metterci una pezza (non di Lundini), ma con risultati davvero scarsi, soprattutto perché mi sentivo in dovere di restare in contatto con gli altri... e poi perché non dovevo rimanere indietro, dovevo dimostrare blabla. Competizione sociale. Io, poi, che ho letteralmente quattro amici in croce, i quali sanno che non sono minimamente in grado di essere competitiva, socialmente parlando (e pure in generale). Ngul a me.
Film brutto fresco fresco: il remake de Il giustiziere della notte
Domenica 30 Ottobre 2022
Premessa 1: SPOILER ALERT
Premessa 2: conosco abbastanza questo film per colpa di mia nonna, nota cultrice del genere ultraviolento. Non chiedetemi per quale motivo, dietro all'aspetto di una donnina fragile e gentile, si celi un animo oserei dire sanguinario.
Comunque, tornando al film, la versione originale è una robetta leggera: Charles Bronson diventa un vigilante ammazza tutti, dopo che gli hanno sostanzialmente fatto fuori la famiglia. È indubbio che qui si parla di capolavorohhh , come avrebbe il buon Ricciardo Benzoni, soprattutto se si pensa che è stato tratto da un romanzo con intenti chiaramente contro il vigilantismo, mentre il film diciamo che non va nella stessa direzione del romanzo... C'è anche da dire che, sia il romanzo che il film, sono stati prodotti in un momento storico un attimino violento in America, come viene spiegato qui. Per i motivi appena citati questo film, appena uscito, è divenuto subito un cult, e tale è rimasto negli annali del genere exploitation. InZomma, tutto ciò che può desiderare un amante della serie Z!
A rovinarci il ricordo ci viene incontro questo assolutamente non richiesto remake: a parte che, come ho detto prima, Il giustiziere della notte era storicamente contestualizzato NEGLI ANNI '70, adesso quale stracazzo di senso ha? Spiegatemeloh.
Ma partiamo così: siamo a Chicago (no, non nelle braghe, non fa ridere dal 1997), Bruce Willis è un chirurgo monoespressivo dedito al proprio lavoro, nonostante lo porti a salvare anche chi non se lo merita; illuminante, in questo senso, il passaggio iniziale in cui dopo non essere riuscito a salvare un poliziotto, si trova a dover operare colui che gli ha sparato, nonostante l'evidente scoramento del collega del poliziotto. Le battute - più o meno:
«Mi spiace, non sono riuscito a salvare il suo collega»
«Ma dove va, a salvare quello che gli ha sparato?!»
MA BELIN È UN MEDICO!
Comunque, Bruce Willis ha una bella famiglia: Elizabeth Shue, evidentemente annoiata dalla quotidianità, perché altrimenti non si spiega la sua partecipazione a questo capolamerda e l'ultima ex di DiCaprio, Camila Morrone, una specie di Corinna Negri che ancora non nasconde la sua età. Il plot twistone che ci porta al succo di questa pellicola è il seguente: praticamente vanno a pranzo con il fratello di Bruce Willis - un Vincent D'Onofrio con un evidente bisogno di soldi come il personaggio interpretato - e il parcheggiatore fotografa il loro indirizzo dal navigatore. Già. Come sempre grandisssssimi sforzi di scrittura: almeno nella versione originale i malviventi pedinavano la moglie e la figlia di Charles Bronson, ma vabbè, siccome siamo nel XXI secolo famolo tegnologgggigo. Facendola breve, Bruce e i suoi dovrebbero andare a cena fuori per festeggiare il suo compleanno, ma un contrattempo lo richiama in servizio, così madre e figlia restano a casa e il resto è abbastanza ovvio: tornate dalla spesa, i malviventi tentano di derubarle e, di fronte alla loro ribellione, sparano alla madre e crepano di mazzate - ? non si capisce bene, giuro! - la figlia, che finisce in coma. In tutta onestà, è decisamente edulcorata l'aggressione rispetto alla versione originale - per fortuna aggiungerei - ma, di nuovo, l'obiettivo della pellicola originale, in parte, era anche quello di scatenare una reazione nello spettatore, di fronte ad una violenza inaudita inflitta per motivazioni quantomeno assurde, contestualizzato tutto rispetto al clima violento dell'epoca: ecco, in questo caso, l'unica sensazione suscitata è quella dell'ennesimo dejà-vu del tutto evitabile. O, tutt'al più, la voglia di scuotere Bruce Willis nel tentativo di vedere un'espressione diversa, rispetto a quella da moai che assume per tutto il film.
Vabbè, a questo punto, c'è il momento del cordoglio, del dolore e del suocero che consiglia a Bruce quali armi comprare: NRA intensifies! Bahahahahahah, forse è uno spottone per la lobby nelle armi, mi sono sbagliata.
La polizia, ovviamente, è sempre inutile: questa è una costante nei film e nelle serie tv americane, è incredibile la mancanza di fiducia che hanno; in effetti, è difficile avere fiducia in Dean Harris e collega, la linea comica di questo film, impegnatissimi a dir cazzate sui carboidrati, invece che indagare sui crimini.
A Dean, mò non esageriamo su...
Non scherzo, sono presenti numerose scene dove Moai Bruce cerca guide su internet: ripeto, va bene che siamo nel XXI secolo, ma minchia almeno cerca nel Deep web tramite Tor, non su YOUTUBE! Only grr reactions. Uno dei punti più alti del film, è quando il nostro Moai Bruce decide di scendere in campo e miete la sua prima vittima. Diciamolo, va tutto benissimo: si ferisce la mano sinistra perché non sa sparare e diventa virale su internet, un successone! Rimane in incognito, grazie al potere del cappuccio che lo rende irriconoscibile, nonostante sia solo un cazzo di cappuccio tirato su, cioè la faccia si vede praticamente sempre. Sceneggiature fantasiose e dove trovarle.
La cosa migliore è che i testimoni delle sue imprese non riescono mai a riconoscerlo, mentre i malviventi a cui sta dando la caccia sanno chi è lui, nonostante non lo abbiano MAI visto, inGredibbileh!
L'altra cosa top è il fatto che letteralmente NESSUNO colleghi il fatto che Moai Bruce sia ferito alla mano come il vendicatore: la polizia va a parlargli dopo aver ritrovato un pezzo della refurtiva, lui nasconde la mano sinistra e gnente, Dean Harris con la collega non ci fanno minimamente caso, addirittura sospettano di Vincent D'Onofrio, nonostante non abbia ferite sulle mani... Qui siamo oltre il commissario Winchester!
L'intrepida polizia di Chicago
Inutile dire che questo remake è veramente imbarazzante sotto ogni aspetto: ora, Charles Bronson non era certo Marlon Brando, sia chiaro, ma Bruce Willis in questo film raggiunge delle vette di espressività che manco Gabriel Garko (forse è anche causa della malattia e per questo mi spiace molto), il resto non pervenuto a parte Vincent D'Onofrio che fa sempre la sua figura; la storia coinvolge forse all'inizio, ma poi vuoi per l'inespressività generale, vuoi per le trovate assolutamente zeniali, si finisce per perdere interesse.
La chicca cringe: uguali, no?